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A volte scalare l’Everest può essere facile

Aggiornamento: 24 mar 2022

Ho avuto l’occasione di soffermarmi e riflettere sul mio cammino. Quanta strada, quante valli e vette raggiunte. Quanti abissi. Quanto dolore, a cui oggi sono grata e per il quale posso dire che ho scoperto un gusto nuovo per la vita. Credo sia il dolore ad avere trasformato il mio cuore, strappandolo all’aridità di prima.

Già, il solo fatto di nascere e morire espone ad un’inevitabile quota di dolore. Anche per le persone più consapevoli ed illuminate questo dolore è ineliminabile, poiché connaturato all’esistenza in questa dimensione. È dappertutto, inconcepibile ed universale. Mahatma Gandhi dice che è il biglietto da visita dell’umanità. Nella Bibbia è detto che l’uomo nell’abbondanza non comprende. Allo stesso modo Marco Ferrini, con la metafora del campo che diviene fertile solo se viene irrigato, ove noi siamo il campo e l’acqua che ci irriga è il dolore, apre ad una comprensione profonda: noi diveniamo fertili con il dolore. Secondo questa visione, che io condivido, il dolore ha una funzione educativa/evolutiva. Noi cresciamo ed evolviamo a livello coscienziale attraverso la crisi.

Ho provato la profonda forza trasformativa del dolore. Ho avuto l’opportunità di osservare, nella mia e nell’altrui vita, come il dolore svuoti, ripulisca e lasci spazio. Il dolore destruttura, brucia e, se glie lo consentiamo e ci mettiamo in ascolto, riapre alla vita: a vita nuova.

Certamente non è il dolore in sé che permette il salto evolutivo, si può continuare a soffrire ed annegare nel dolore senza comprendere nulla in un ciclo senza fine, fino a quando arriveremo a ‘stufarci’ di soffrire e magari riusciremo a compiere un primo passo verso il cambiamento.

Ogni crisi può divenire un trampolino di lancio verso un rinnovato equilibrio ed una nuova visione della vita, occorre però permettere al dolore di svuotarci e di farci riempire da esso: fare amicizia per conoscerlo, vestirlo, sentirlo. Entrare in esso. Baciarlo ed abbracciarlo, non per rimanervi intrappolati, ma per poi riuscire definitivamente a lasciarlo andare, una volta che l’opera di pulizia interiore sarà terminata. “Noi dobbiamo abbracciare il dolore e bruciarlo come carburante per il viaggio” : accogliamo tra le nostre braccia il dolore come una fascina di legna, nel frattempo la sosteniamo, la osserviamo, impariamo a gestirla e quando è arrivato il momento la lasciamo andare nel fuoco, ed essa brucia rilasciando per noi il dono dell’energia e del calore per il viaggio che continua. Prima viene l’accoglienza del dolore, poi viene il viaggio con il dolore e infine viene l’abbandono del dolore e il ritorno al benessere interiore.



Questo è quanto credo sia accaduto a me. E se ora posso benedire le esperienze che prima mi hanno fermata, frantumata, svuotata è proprio perché mi è stata donata la grazia di accettare e rimanere nel dolore per poi ricostruire con gioiosa creatività. È un percorso che non ha mai termine e che mi trovo a condividere con altre anime che si avvicinano alla morte e con i loro famigliari. Attraverso il counseling posso accompagnare e condividere con l’altro il percorso di crescita nelle sfide, di avvicinamento alla morte, spesso è un percorso misterioso che tuttavia ha un suo profondo senso: è la vita. Ho l’opportunità di mettermi al servizio dell’umanità ferita, riconoscendomi in essa ed abbracciandola. Ritrovo nell’altro il volto della divinità che è in lui, quella stessa che ci accomuna e che ci collega al Supremo. E così hanno assunto pieno e vivo significato le parole di Gesù “in verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”. Il dolore ci rende tutti fratelli ‘piccoli’ e tutti pronti a ricevere e donare amore. Il dolore, infatti, è maestro: insegna a riscoprire la beatitudine autentica della vita e ad esercitare la virtù. Offre la possibilità di apprezzare la preziosità della vita. Fare il viaggio insieme al dolore apre alla forza ed al coraggio che non derivano dalla volontà tiranna del digrignare i denti e dal resistere, ma dall’autentica capacità di ‘stare’ ed essere resilienti. Infine, il dolore offre visioni cosmiche: il sentire la comunanza del dolore con tutti esseri viventi apre alla dimensione universale. Tutte le creature dell’universo soffrono e il dolore le unisce: è possibile superare il senso di separatezza e di solitudine per assaporare la comunione profonda con il creato, le creature ed il Creatore ed in quel momento riuscire finalmente a crescere nella gioia.

Forse l’insegnamento più grande che il dolore mi sta offrendo è l’abbandono fiducioso alla vita. In questa vita sto cercando di imparare la vera resilienza che porta a riscoprire l’Amore che tutto sostiene: “l’Amor che move il sole e l’altre stelle”. L’Amore che sostiene ognuno di noi nel cammino, unisce e illumina proprio quando si è disposti a lasciare andare e fluire con gli eventi della vita. E se è pur vero che il dolore è paragonabile all’imponenza dell’Himalaya, a volte “scalare” l’Everest può essere facile, se si è ben attrezzati. Nel counseling ho trovato gli strumenti per conoscere, gestire e trasformare anche le esperienze più crude e ritrovare la gioia autentica, nella fiduciosa speranza di potere arrivare a cantare le lodi della vita anche nel momento della “sora morte corporale”. L’umanità è condannata alla felicità, occorre solo che lo scopra.


Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale,

da la quale nullu homo vivente pò scappare […]

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